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Nella prima metà degli anni Settanta Bowie aveva anticipato tutti i trend, indossando i panni di camaleontico musicista folk, poi hard rock, poi icona giani, infine profeta del plastic soul. Da Major Toni a Ziggy Stardust, da Halloween Jack al Sottile Duca Bianco, una carrellata di personaggi e maschere aveva celato la sua vera personalità. Fino a quando nel 1975, in preda ai demoni della cocaina e a una paranoica ossessione per l'occulto, fuggì da Los Angeles per dirigersi con Iggy Pop a Berlino - la Berlino di Isherwood e dei fumosi cabaret, quella "città fatta di bar in cui la gente triste può andare a ubriacarsi" - in cerca di anonimato e di nuovi stimoli. Per Bowie, affascinato dall'arte espressionista e dalla musica kosmische, dalla devastazione della guerra e dall'atmosfera di sbiadito glamour che la pervadeva, Berlino, divisa dal Muro al confine tra l'Est comunista e l'Occidente capitalista, era "tagliata via dal suo mondo, dalla sua arte, dalla sua cultura, agonizzante e senza alcuna speranza di risarcimento". Lì, insieme a Brian Eno, Tony Visconti, Robert Fripp, diede vita a tre album sperimentali, oscuri e intrisi di alienazione, ormai entrati nella leggenda: "Low", "Heroes" e "Lodger", che con la loro sintesi di avanguardia elettronica, rock'n'roll e world music hanno aperto la strada alla new wave, al synth pop e al movimento New Romantic degli anni Ottanta, influenzando intere generazioni di musicisti, dai Joy Division ai Duran Durali, dai Depeche Mode agli U2.